| 43km | 2128m+ | www.strava.com/activities/1790451550
Oltre i 3.000m in MTB, non è roba da tutti i giorni. Era tanto che volevo andare a fare un sonnellino lassù. Poi un giorno l’ho fatto. Uno sturm und drang di sentimenti ed emozioni.
Lunedì 4 settembre ne ho approfittato per festeggiare il nostro sesto anniversario di nozze togliendomi un [cit.] macigno dalla scarpa ossia i 3.130m dello Chaberton.
Ho amato questa montagna ancor prima di salirci, quando l’ho osservata la prima volta dalla chiesetta di Notre Dame de Brousailles: una montagna bellissima, imponente da ovunque la si ammiri, un’inquietante piramide di roccia se osservata dalla strada di fondovalle. E lassù sulla punta, 1.800m sopra la tua testa, una fortezza incredibile con tanto di torri e bastioni con una stradina sterrata di 14km e 1.800m di dislivello che zigzaga tra boschi e frane e pianori fino alla punta; una roba che neanche l’immaginazione di un bambino riuscirebbe a disegnare. È pura magia…
Sono tornato da pochi giorni dalla Route des Grandes Alpes, la famiglia è ancora in Sicilia in vacanza, la bilancia ha annunciato un 81.5kg che non vedevo da una dozzina di anni e mi sento che le gambe riusciranno a portarmi a 3.130m di altitudine. E’ il momento di provare lo Chaberton!
Così mi sveglio con massima calma e ad attendermi in soggiorno c’è la Kahuna già carica. Tenda e scacco a pelo sul manubrio. Materassino, piumino, vettovaglie, qualche cambio nella borsa da sella.
La prima ipotesi era di arrivare a Fenils la domenica sera, pernottare in b&b e poi salire all’alba scarico di borse e pesi vari; ma subito mi era sembrata una roba molto racing e poco romantica. Così il tutto s’era trasformato in un pernotto in tenda ai 2.400m del Pian dei Morti (copincollo: è un toponimo che si trova frequentemente in montagna e anche qui testimonia la tragedia che colpì un distaccamento di soldati francesi alla fine del 1700 – furono uccisi dal freddo durante la guerra con il Regno di Sardegna) ossia dove la strada dello Chaberton entra in Francia e si fa più disastrata; per poi salire con calma all’alba gli ultimi 700m di dislivello fino alla cima. Per contenere al massimo gli ingombri decido di portarmi il sacco da 10′ di comfort invece di quello da 0′ ed eventualmente usare il piumino e gli scaldamani chimici per migliorare la situazione. Aveva funzionato ad Arpy con un sacco da 0′ e -10 di temperatura reale e quindi potrebbe essere la soluzione ideale. Così agghindato il peso totale del mezzo è di circa 27kg…
Dopo colazione inizio a pedalare verso la stazione di Chivasso percorrendo lo stesso itinerario della settimana prima: Chivasso – Torino Porta Nuova dove prendo un caffè con mio cugino Davide – Oulx.
Verso le 13 sono in sella, stessa identica strada di fondovalle finché ad un certo punto lo Chaberton sbuca da dietro gli alberi, fa impressione pensare di salirci in bici e soprattutto con una bici così carica. Mentre pedalo osservando la cima un pensiero mi entra in testa, come se una voce me lo stesse suggerendo: vieni ed osa…
Magari ai più scettici può sembrare che voglia romanzare il racconto ma è esattamente quel che ho provato ed infatti in quel momento ho deciso di pernottare in cima; ci avevo già pensato ma ero dubbioso, ora però ne ho la conferma, andrò ed oserò.

Allo svincolo per Fenils lascio la statale, riempio le borracce ed inizio a pedalare a ritmo costante, la strada si impenna subito su pendenze importanti (14/15%) ma il fondo è compatto e procedo bene; passo l’ultimo gruppo di case ed abbandono la civiltà immergendomi in un bosco di pini.
Inizio a godermi la solitudine finché, ad un tratto, in senso opposto vedo arrivare un vecchio Yamaha XT600: il crucco in sella mi annuncia che non sono solo, ci sono altri due ciclisti 200 metri prima di me. Mi rattristo. Gli chiedo se hanno tende o sacchi a pelo e mi dice di no. Ok meglio, sarò il solo a godermi la cima.

Ricomincio a salire ed un cane da pastore mi corre incontro con fare amichevole, raggiungo i crucchi al Rio Secco dove noto con dispiacere che la parete di roccia è nuovamente e completamente franata per un centinaio di metri; arrivo al tratto dei tornanti con l’illusione di riuscire a pedalare fino in cima visto che fino a qua non ho spinto se non sulla frana ed in un breve tratto di 10/15 metri.

Ma ai tornanti cambia tutto, il fondo si fa molto smosso con pietre grosse. L’anteriore sprofonda e subito dopo il posteriore slitta, si fatica di più a pedalare che a spingere ed infatti faccio trenino con i crucchi che spingono come me. Il traverso che conduce alla rocca tagliata è pedalabile a tratti fino alla frana che si attraversa su una passerella in legno.


Ancora qualche tratto pedalato fino a Pian dei Morti dove il cippo di marmo mi conferma che sono nuovamente in territorio francese…

Dal Pian dei Morti – o per dirla alla Francese Clot des Mort – in poi inizio a spingere senza sosta fino al Colle, la strada è ridotta veramente male e la pendenza è – per me – mortale (vedi immagine sopra) ed inoltre inizia a tirare un vento freddo che mi impone di mettere una felpa ed i guanti.

Finalmente al colle. In basso a sx si vede il traverso che conduce alla Rocca Tagliata. Una volta arrivato al Colle il mio umore ha dei tentennamenti, il versante piemontese è bello pulito, si c’è qualche nuvola ma tutto ok…

…mentre dalla Francia arrivano parecchie nuvole nere che mi mettono un po’ in ansia. Ma ormai siamo qua, a 2690m, ne mancano ancora 420 per arrivare alla cima e poi lassù vedrò sul da farsi. Il vento si fa sempre più presente e le nuvole ora viaggiano velocissime sopra la mia testa. A tratti pedalo ma procedo soprattutto a spinta, incrociando gli ultimi escursionisti della giornata, che stanno scendendo…

Arrivo alla struttura che una volta ospitava il corpo di guardia ed mi fermo a respirare un po’ e mangiare qualche barretta: più salgo e più fa freddo!

Riparto, ormai la cima è vicina, ancora qualche passo (passo e non colpo di pedale) ed eccomi alla spianata ed alla fantastica vista sulle 8 torri; i ciclisti tedeschi si stanno preparando a scendere, mi augurano buona permanenza – have a good camping – e dicono di non preoccuparmi delle nuvole in quanto il meteo annuncia bel tempo per la notte e l’indomani. Li ringrazio, li saluto, li guardo sparire dietro il ghiaione ed in quell’esatto istante ho la stessa sensazione di solitudine di quando papà ti porta al primo giorno di scuola, ti saluta e ti trovi davanti un esercito di persone che non conosci. Solo che in questo caso le persone sconosciute sono tutte riunite in una sola entità: ME STESSO…
La mia psiche vacilla, inizio a pensare di non smontare le borse e scendere direttamente; essere a 3.130m, da solo, sulla punta di una montagna, riporta a galla paure ancestrali: la pioggia, i fulmini, i lupi, il freddo, la stanchezza, la fame. Decido comunque di iniziare a montare la tenda davanti alle torri per cercare di riparami dal vento che adesso è forte al punto da suggerirmi di mettere un bel pietrone sui picchetti e successivamente, a tenda montata, anche dentro. Una volta all’interno mi cambio con abiti asciutti ma la sensazione di freddo non diminuisce e così inizio a domandarmi quanto farà freddo stanotte: forse è stata una scelta avventata non portare il sacco a pelo pesante.

Eccola mi tendina montata. Laggiù, 1.800m più in basso, la statale ed a centro fotogramma la pista da bob che fu usata per le Olimpiadi di Torino 2006. Sullo sfondo Sestriere che sbuca nel vallone dove si intravvede il famoso albergo cilindrico.


La tenda viene scossa di continuo dalle raffiche di vento. Ma perchè sono venuto fin quassù? Cosa sto facendo in cima ad una montagna da solo? Il sole sta per tramontare ed è ora di prendere una decisione, posso smontare tutto e scendere a valle con la torcia frontale. Però in realtà voglio restare. Voglio provare la solitudine, l’ho assaggiata in Francia la settimana scorsa ma probabilmente era solo un antipasto. Qua è vera solitudine e me ne sto accorgendo con tutto me stesso. Ragiono sul fatto che adattarsi alla società è relativamente facile, basta seguire la corrente del pensiero comune e mettersi in coda al gregge. Già il fatto di cercare la solitudine circondati dalla civiltà non è semplice ma – secondo me – l’ostacolo più grande è isolarsi dalla società e provare a stare da soli con se stessi in mezzo al nulla. Questo è realmente spaventoso…
Ma per il momento mangerò qualche panino cercando di rimandare il più possibile la decisione. La temperatura crolla con la stessa velocità del mio umore ed ho zero voglia di uscire dal mio rifugio fatto di nylon e cotone. Provo a scaldarmi nel sacco a pelo. Mi telefona mia madre:
– Ciao. Dove sei?
– In cima allo Chaberton…
– Adesso? Ma dormi lì? Ma che ci stai a fare lassù? Hai da coprirti? Ma Luca ti sembra una cosa da fare? Ecc.Ecc.
Taglio corto. Effettivamente non si può darle torto, una persona sana di mente non verrebbe a dormire in tenda quassù…


Decido di uscire dalla tenda per ammirare un po’ di tramonto: questo è un nulla reale, le luci di fondovalle mi fanno pensare a tavole imbandite e famiglie che guardano la TV o ragazzi che scherzano avanti ad una birra in un bar.
Ma perchè sono venuto fin quassù? Cosa sto facendo in cima ad una montagna da solo? Eppure tutto ciò è paurosamente affascinante: il silenzio, il vento, il freddo, il tramonto, la batteria dello Chaberton dietro di me, la mia amata tenda. E’ finalmente la vera solitudine. Alla fine mica me l’ha detto il dottore di venire quassù?! Ci sono salito di mia spontanea volontà, è giunto il momento di assaporare le sensazioni e le emozioni che questa montagna vorrà regalarmi.





Dopo una decina di minuti però il sole tramonta ed il freddo diventa veramente insopportabile nonostante il piumino per cui mi rifugio in tenda. Sono le 21.30 e decido di fare l’unica cosa sensata in questo momento: dormire. Un sonno difficile con parecchi sogni agitati per via del vento, la tenda che vola a valle con il sottoscritto all’interno, l’arrivo dei lupi, l’elisoccorso che verrà a prendermi domattina. Ad un certo punto sento abbaiare in lontananza e solo dopo qualche istante capisco che per via del vento i cani da pastore sembrano più vicini di quel che in realtà sono.
Ormai sono sveglio per cui apro la tenda e davanti a me c’è uno spettacolo incredibile: nel fondovalle le automobili si muovono veloci ed alle mie spalle vedo la batteria dello Chaberton illuminata dalla luna. Sembra un sogno. Non scatto neanche una foto, fa veramente troppo freddo e ho un gran sonno per cui torno subito a riscaldarmi nel sacco a pelo che per il momento sta facendo il suo dovere. Mi riaddormento. C’è un continuo e fortissimo rumore di aerei che vanno e vengono…
Alle 3.45 il sacco a pelo dimostra i suoi limiti e sono nuovamente sveglio; spacco 6 scaldamani ma ne funzionano solo 3, metto i piedi nella borsa da sella insieme ad uno scaldino. Funziona!!! Metto i restanti 2 sulla pancia e nel piumino e tampono la situazione in attesa dell’alba: per esperienza, non appena sorge il sole, la tenda si scalda in un lampo. Chiudo gli occhi ma non è un bel modo di dormire, a tratti il vento scuote la tenda in modo preoccupante. Poi mi sembra vedere una luce diversa, apro la cerniera e vedo che dietro al Rocciamelone ci sono le prime sfumature arancioni e viola, il sole sta arrivando e dopo pochi minuti la tenda inizia a scaldarsi ed io piombo in un sonno profondissimo.

Apro gli occhi alle 7.30 o 7.45, non ricordo. In tenda c’è un bel tepore e mi godo la soddisfazione di aver convissuto ed accettato le mie paure. Apro nuovamente la cerniera ed ora è bellissimo essere l’unico lassù.

Il cielo è azzurro e la temperatura è salita a 6 gradi che diventano 7.5 verso le 9.30. Cazzeggio abbondantemente.

Salgo sullo spiazzo e vedo il cono d’ombra dello Chaberton proiettato a chilometri di distanza: mi ricorda alcune foto di albe sul K2 in cui si vede la piramide sulle montagne circostanti.

La Barre des Ecrins, sotto la quale c’è il Col du Lautaret dove sono salito la settimana scorsa con la bici da strada.

Mamma mia quant’è bello essere quassù e vedere nuovamente le torri dorate…










E poi decido di farmi un bel selfie con tutti gli elementi di quest’avventura: lo Chaberton, la tenda, la Kahuna e la soddisfazione stampata sul mio faccione, non manca nulla 🙂
In questo “selfie” ci sono 3 sogni avverati:
1° dormire lassù
2° scalarlo in bici
3° cagarmi veramente addosso per la solitudine
Tutti e tre avverati, assorbiti, metabolizzati. Forse. Serenamente posso dire di essere soddisfatto…

E’ emozionante e mi sento molto sereno ed in pace con me stesso: capisco che la scelta di non tornare a valle è stata quella giusta. Mangio qualcosa, poi smonto la tenda e sistemo il piazzale esattamente come l’avevo trovato; ancora qualche foto, ringrazio la montagna per avermi spronato, accudito e protetto. Sistemo le borse e poi mi preparo a scendere…


Ed infatti primi metri in sella sono di pura vertigine: la pendenza a lato del sentiero è tale che sembra di volare sospesi con un filo immaginario che collega la Barre des Ecrins con il Rocciamelone. Dopo qualche metro devo fermarmi, respirare, placare le emozioni e ripartire. Da qui in poi c’è solo il piacere della discesa, l’assaporare la forza di gravità che ti accompagna verso valle su un sentiero tutt’altro che tecnico ma estremamente piacevole, incastonato tra pareti di roccia e paesaggi lunari. Incrocio i primi escursionisti a piedi poco prima del colle. Poi inizio la discesa verso Pian dei Morti, qua il sentiero è un po’ più tecnico ma nulla di impressionante, più che altro il fondo è disastrato. Arrivo alla Rocca Tagliata e poi la zona dei tornanti, dove incontro un inglese con una Fantic fat-bike elettrica che procede… a spinta. Strano: avrei pensato proprio ad una fat come alla bici ideale per galleggiare su questa poltiglia pietrosa. Invece non pare essere sufficiente neanche l’aiuto elettrico.

Da questo punto in poi la strada diventa pulita e veloce ed in un attimo sono Fenils, mi volto a guardare la cima: poche decine di minuti fa ero lassù, un ultimo saluto allo Chaberton, lo ringrazio di avermi concesso la possibilità di salire, perchè a pensarci bene non siamo noi umani a “scalare” le montagne ma sono queste ultime a “lasciarsi scalare”. Ed in questo caso è stato proprio così.

Da qua è tutto asfalto fino a Oulx ed alla stazione ferroviaria, esattamente dove ho iniziato a pedalare 8 giorni prima. E’ un anello, fisico ed emotivo,che si è chiuso. E’ stato bellissimo. Spaventosamente bello.
Nei giorni successivi farò ancora un’ultima salita a Bielmonte con Gianluca e Manuel e la cosa che mi stupirà sarà la quasi totale assenza di fatica durante l’ascensione. E proprio con Bielmonte concludo 14 giorni esclusivamente dedicati alla bicicletta per un totale di 10.300 di dislivello. Solitamente li facevo in 6 mesi o più, se me l’avessero raccontato a Febbraio non ci avrei creduto. Come direbbe il Sic: DioBò che spettacolo raga!!! 🙂
22 Febbraio 2019 alle 19:53
Stupendo! Leggere le tue sensazioni e intanto pensare che il mio nonno, durante la guerra, era lassù con altri commilitoni…magari c’è ancora un po’ della sua energia.
23 Febbraio 2019 alle 17:18
Ciao Irene,
grazie Irene del commento, sei la prima a firmare il nuovo blog!
Nel 2017 mi avevi accennato al fatto che tuo nonno era lassù. Energia in cima ve n’era a pacchettate e si percepiva nell’aria. E’ un posto mistico, un po’ tutte le cime delle montagne lo sono ma arrivare a più di 3.000 metri e trovare una fortezza è una cosa incredibile…
Grazie – A presto – Luca