La mia storia della Susa – Susa inizia 3 o 4 anni fa con una telefonata a Marco Eporedia, durante la quale mi racconta che un suo conoscente ha partecipato alla Susa – Susa, una randonnée (cit.) da sociopatici, una roba da quattromila metri di dislivello in un giorno!
A quei tempi non concepivo – e neanche credevo possibile – che un umano potesse fare una simile quantità di salita in un solo giorno ma con il passare degli anni, dei chilometri, delle conoscenze gli orizzonti si sono ampliati ed ho iniziato a capire che un giro simile, per quanto molto molto impegnativo, è fattibile con un buon allenamento.
Per chi non sapesse cos’è la Susa – Susa la spiegazione più semplice è una randonnèe, ossia una manifestazione ciclistica senza classifica che ha come unico vincolo il percorso e l’obbligo che venga completato in un tempo limite, in questo caso di 14 ore.
Gli organizzatori dichiarano 205km e 4.400m di dislivello per questo anello tra Italia e Francia, con partenza ed arrivo a Susa, transitando su alcuni passi mitici del ciclismo:
– Valico del Moncenisio
– Col du Télégraphe
– Col du Galibier
– Col du Lautaret (in discesa)
– Monginevro
Ovviamente è percorribile durante il periodo estivo anche senza partecipare alla randonnèe ufficiale ed è così che decido di fare un mercoledì di inizio Agosto. In solitaria, al mio passo.
Partenza da casa con un giorno di anticipo. Cena ad Oulx con Berni ed i suoi amici ciclisti e poi a dormire presto nel baule del 5008, in un piazzale di Susa.
Le sensazioni mattutine non sono molto buone, mi trascino pigramente tra colazione e preparazione: inconsciamente prevedo già la fatica che mi aspetta.
Alle 7.15 parto da Susa, il riscaldamento dura meno di un chilometro perchè la statale del Moncenisio inizia a salire appena fuori dal paese: meglio prendersela con calma, rapporti corti e grande calma, sarà una lunga giornata di fatiche e panorami. Per il momento percepisco solo un gran male alle gambe che mi accompagna per i primi 10km. Metà del Moncenisio la tentazione di tornare indietro è forte.
Arrivato al Moncenisio la situazione fisica migliora ma non del tutto, mangio un paio di barrette, indosso il kway e mi godo la lunga discesa su Lanslebourg, che attraverso senza fermarmi. Direzione Modane. Quasi tutta discesa ma il vento contrario mi rattrista, obbligandomi a pedalare ugualmente invece di riposare un po’ le gambe.
Vedere un cartello che annuncia 35km di salita – quasi – ininterrotta è un brutto colpo per la testa: significano almeno 4 ore di fatica per giungere al mitico Galibier. Meglio non pensarci, pedalare agile e costante ed accettare il fatto che sarà dura. Accettare e consapevolizzare sono due grossi traguardi da raggiungere nel ciclismo.
Passo Valloire ed a metà della salita verso il Galibier capisco che è giunto il momento di una sosta allo stesso bar in cui ci eravamo fermati durante il Tour del Galibier in MTB
Ci sono ciclisti di tutti i tipi: ragazzini che salgono con bici da corsa affittate, pedali flat e scarpe da ginnastica ai piedi, qualche pro che si prepara per il Tour e molti amatori che vanno quasi come i pro; ricordo quasi con tenerezza un gruppo di ragazze tedesche un po’ sovrappeso che, grondanti di sudore chiedono pietà a 7km dal colle.
Quattro chilometri dopo sento giungere alle mie spalle il ronzio dell’attrito sull’asfalto di gomme paffute e poi istanti vengo sorpassato da ragazzi con delle bici gravel.
Un gruppo di camminatori che sta facendo merenda a bordo strada mi incita con sonori allez-allez facendomi sorridere ed emozionare al tempo stesso…
Siccome la stanchezza è ormai passata granzie all’adrenalina che è ancora in circolo, prima di tornare a casa vado a Rivoli da Ralph a farmi una birra ed un’aranciata ed una brioche ed un’altra ancora. Ore 1.00 riparto…
26 Agosto 2020 alle 15:21
Fai 230 km e poi non mi accompagni a fare 2 orette….che pippa
30 Agosto 2020 alle 10:23
Eh dai. Rimediamo presto… 😉