Jafferau Motel
Jafferau Motel – Fujifilm S5Pro + Sigma 10-20 @ 10mm – f4.0 – ISO640 – 30″
Questa foto rappresenta al 100% tutto ciò che cerco nel motociclismo ed in particolare nel fuoristrada, riassume tutto ciò che vorrei provare quando accendo la mia moto. Libertà. Solitudine. Serenità. Silenzio…
E’ vero. La parola silenzio è in contrasto con un oggetto, la moto, che per muoversi brucia benzina ed emette puzza e rumore, ma ci sono modi e modi di fare rumore. Questo concetto è in stretto contatto con la parola solitudine perchè per essere silenziosi e passare inosservati bisogna essere pochi. Ma buoni. E se la compagnia è buona c’è serenità, voglia di andare in giro aspettandosi e aiutandosi a vicenda anche al termine di una giornata faticosa che si conclude a 2.805m. Sulla punta di una montagna. A quel punto, davanti ad un panorama mozzafiato, intuisci qual’è il vero significato della parola libertà…
E’ una foto a cui sono particolarmente legato anche perchè è stata lei a farmi iniziare le mie collaborazioni con Motociclismo, su cui è stata pubblicata in doppia pagina come apertura di un mio servizio di 8 pagine sullo Jafferau. Ma partiamo dall’inizio…
Lo struscio di Susa è affollato, c’è la classifa figa di legno che se la tira e non calcola nessuno, c’è la barista sorridente che fa sangue e poi c’è la burrosa di nero vestita che verrà contesa tra noi due puzzolenti fuoristradisti per una notte di sesso extremo sullo Jafferau… infatti entrambi siamo devoti al motto che nella ciccia si pasticcia!!!
Nel frattempo però il meteo è peggiorato e pioviggina a tratti. Sono le 20.00 e siamo in sella dalle 6.30 di questa mattina, ci attende l’ultimo tratto della giornata. La notturna che ci porterà dai 503m di Susa ai 2.805 del tetto del Forte dello Jafferau. Appena fuori dal centro abitato guardo verso l’alto. Solo nuvole. Anche piuttosto basse…
Lo ammetto: stavo per mollare il colpo. L’idea di una notte nella nebbia a 2.800m non mi rendeva particolarmente entusiasta.
Poi due parole hanno iniziato a ronzarmi per la testa: inversione termica – inversione termica. Mi hanno dato l’impulso, formiche nella pancia. Ok andiamo…
Inizia la sterrata e con essa le nubi. Al tornante del Duce ci siamo dentro. È come essere nella nebbia di Vercelli a Gennaio: inversione termica – inversione termica. Proseguiamo mentre terra e pietre scorrono sotto i pneumatici malconci delle nostre moto…
Un centinaio di metri prima della deviazione per il Pramand le nubi lasciano filtrare luce. Sempre di più. Significa che stiamo arrivando sopra di loro. Forse è veramente così: inversione termica. Allo spiazzo giriamo verso il Forte. La sterrata sale tra i pini. Primo tornante. Secondo. Terzo. Saliamo sul tetto…
Uno spettacolo da togliere il fiato. Dal monte dietro il Pramand escono strisce di nuvole come lembi di lenzuola strappati dal vento. Sotto di noi alcune zone della valle sono riempite a forza di morbida panna montata. In lontananza, su Torino, un fungo atomico, un’esplosione di vapore di colore tra l’arancione e rosa. Verso ovest invece il cielo fa paura. Nuvoloni neri fanno da soffitto allo Chaberton. L’inferno sceso in terra. Chiedo a SteB di mettersi in posa e faccio l’interpretazione in chiave moderna de Viandante sul mare di nebbia che è uno dei dipinti preferiti di BayPiss…
Poi mi giro e vedo che lo Jafferau è nelle nubi: inversione termica – inversione termica. Una sensazione di fretta mi assale. Dobbiamo andare di corsa per vedere come sono le condizioni lassù per capire se dormire la oppure tornare qua, al Pramand.
Poi. Un brivido mi attraversa: siamo nel posto giusto al momento giusto. Lasciamoci trasportare dal magico fluire degli eventi…
Entriamo nelle viscere della montagna. Il buio e la pioggia della maledizione dei Saraceni. All’uscita un capriolo ci osserva. Si sposta poi si ferma ancora per studiarci. Poi se ne va con il suo saltellare elegante. Continuiamo a salire. A Col Basset abbandoniamo il versante della Val Susa per quello della Val Fredda. Un puntino di luce la sta attraversando. Verso l’alto invece si vedono gli scheletri delle mura della batteria dello Jafferau. È una visione inquietante. Che torce le budella. Percorriamo i tornanti dal fondo disastrosamente lastricato. Siamo sul tetto. È pura magia…
Le nubi si sono alzate e ora corrono veloci davanti alla luna. Sulla nostra destra, millecinquecento metri più in basso le luci di Bardonecchia. Sulla nostra sinistra la Val Fredda e la lucina, che prima si muoveva ora è fissa laggiù in fondo. Ancora oltre, Oulx. Di fronte a noi la testa mozzata dallo Chaberton coperta da un cappello di nubi. E poi come se l’universo non fosse ancora soddisfatto della quantità di meraviglia che ci ha regalato finora, ad un certo punto sentiamo un botto potentissimo. E poi un altro e un altro ancora. Fuochi d’artificio a Bardonecchia mentre noi siamo seduti sulla seconda piazza da tiro da dove i cannoni 149/35, il 16 ed il 17 giugno 1940, esplodevano i colpi verso la Francia. Colpi che echeggiavano e rimbombavano nella valle. Esattamente come ora. Forse ancora più forte. Pelle d’oca alta una spanna…
I tre colpi finali annunciano la fine delle ostilità. Il forte dello Jafferau, che per qualche minuto è tornato a rivivere, ora è nuovamente avvolto dalla sua silenziosa solitudine. Ma per questa notte avrà due ospiti, venuti fin qua per rendere onore alla sua magnificenza…
#StoriaDiUnaFoto: molto spesso mi viene chiesto come sia nata l’idea di scattare una determinata foto, perchè ho deciso di scattarla e cosa ho visto in quel momento. #StoriaDiUnaFoto vuole raccontare quindi come nasce un’immagine, gli istanti che l’hanno preceduta e le sensazioni provate nell’istante dello scatto…
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